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mercoledì 5 dicembre 2012

Il profeta di Sutter street

Ci sono persone in cui ci si imbatte casualmente che lasciano un segno.


Mi 'e capitato piu' di una volta ormai. Persone che comunicano il loro messaggio creando una situazione a dir poco surreale, simile alla sensazione del dormiveglia in cui non si ha chiaro se si era svegli o si sognava. Io li chiamo i miei "profeti".

Il profeta di Sutter street 'e stato l'ultimo dei profeti che in cui mi sono imbattuta.

Quando se ne incontra uno, non si capisce immediatamente che si tratta di un profeta. E' quando va via scomparendo di nuovo nel nulla da cui e' arrivato, che ci si rende conto dell'importanza di quell'incontro.
Dunque, come capita a qualsiasi interlocutore distratto, anche io credo di non aver inizialmente prestato la dovuta attenzione alle sue parole.

I profeti non si riconoscono facilmente, pero' hanno di solito alcuni tratti comuni. Primo fra tutti, la solitudine. Sono sempre soli, non nella vita, ma nell'incontro.
Secondo il sorriso. Sincero e trasparente di chi vuole dirti la verita'. 
Terzo la normalita'. Nessuna caratteristica in particolare se non quella di essere "comunemente comuni".

Ricordo ancora il vestito che indossava il profeta di Sutter street. Sembrava un uomo distinto, credo fosse filippino, da poco trasferitosi dal Nevada. Comincio' a parlarmi alla fermata dell'autobus per sapere quando sarebbe passato il 12.


Aspettai circa 40 minuti alla fermata di Sutter street ma dell'autobus quel giorno nemmeno l'ombra.

Fu cosi' che cominciammo a chiacchierare. Dall'autobus 12 alle difficolta' incontrate per trovare un lavoro, al suo titolo di ingegnere nella sua terra natale, a guardia di sicurezza a San Francisco. Storie di una vita sofferta come immigrante in una terra straniera.
Eppure mi ci rivedevo. E senza rendermene conto da interlocutrice distratta mi ritrovai accattivata dall'evolversi della storia.

Comincio' a parlarmi della difficolta' di avere sua moglie al suo fianco, della burocrazia ostile che li ha visti lontani per piu' di 4 anni. Del terribile senso di vuoto nel non avere accanto la propria famiglia. Eppure non sembrava mai triste.


Con aria di sfida, mi chiese improvvisamente: "Sei sposata?"

"Il matrimonio non e' ancora nei miei programmi. Non credo si sia mai sicuri di quello che si ha", gli risposi con aria imbarazzata.

"Non importa che vincolo ti unisca alla persona che ami, basta che tu sappia quello che vuoi", mi disse. "Ti renderai conto un giorno di quanti sacrifici ti ritroverai a fare pur di riuscire ad avere vicino chi desideri. Ogni legame ha le sue difficolta', e crederai di aver lottato fin troppo. Ma 'e nel momento in cui smetterai di lottare che non avrai motivo di felicita'. Non confondere la paura di rimanere sola con il sentimento d'amore.
Incute piu' timore l'avere al proprio fianco qualcuno per cui non valga la pena di lottare piuttosto che vivere una vita in solitudine".

Smisi di parlare. Sembravano parole scontate ma quel tono di voce sincero con cui proferiva parola le rendeva oro lucente.

"Perche' si deve associare l'amore ad un costante sacrificio?", gli chiesi dubbiosa.

"L'amore 'e parte della nostra vita. E la vita 'e una costante battaglia in cui si vince e si perde. L'unica battaglia in cui si vince solo 'e l'amore, in qualunque maniera esso si manifesti".

Credo che avessimo percorso un paio di miglia quando da lontano vedemmo un autobus passare.

"Forse ci conviene prenderlo visto che ci aspettano le colline di San Francisco", mi disse con aria sorridente.

"Si, dopo un'ora di attesa se ne vede uno, meglio non lasciarselo scappare" risposi.

Arrivammo correndo alla fermata successiva, le porte dell'autobus stracolmo di gente si aprirono a stento e saltai dentro con aria soddisfatta.

Mi voltai per fargli spazio tra la gente, ma del profeta di Sutter street non ne era rimasto che il sorriso sincero.

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